Buenos Aires, 1920 - 2013
Inaugurazione sabato 7 dicembre 2019 ore 12:00 07.12-2019 - 01.02.2020
a cura di Viana Conti
Matthew Attard Nanni Balestrini
Irma Blank León Ferrari Giorgia Fincato
STANZE:
1-Azioni di Scrittura.
2-Politica e Poetica del Desiderio. 3-Cartografie dello Smarrimento.
Introduzione. La mostra messa in opera alla Galleria Michela Rizzo a Venezia delinea per mappe, tra iconico e aniconico, semantico e asemantico, l'irriducibile complessità dell’arte, il labirintico percorso del segno nella cultura d’Occidente. Il termine, di derivazione greca, Dinamogramma, (da dynamis potenza, forza, energia, movimento, e da grammatiké, costituente strutturale di frasi, sintagmi, parole, derivato, a sua volta, da gráphein, scrivere e da gràmma, elemento letterale) che intitola la mostra, fa cenno al comune denominatore che connota artisti e opere: un’energia dinamica del gesto scritturale che lo rende performativo, inducendo lo spettatore a percepirne la motivazione mentale, l’azione fisica, la pulsione psichica, la reazione neurale, che lo sottendono, materializzandolo poi, visualmente, nella finale traccia segnica.
Una mostra in cui la neo-avanguardia di Balestrini, Blank, Ferrari, si confronta con la contemporaneità di Fincato e di Attard, e in cui la condizione estetica analogica non cessa di prevalere su quella digitale, praticata, tuttavia, dalla giovane presenza di Attard. Nella dialettica tra affinità e differenze, la rassegna non cessa di mettere in scena il Labyrinthos etico, psichico e politico dell’uomo occidentale, le pulsioni del desiderio, le trasgressioni della regola, le insidie dell’Industria Culturale di una società consumistica di massa. Il ricorso a termini come dinamogrammi, con possibile rinvio a engrammi, gli accostamenti liberi di autori e opere, né logici né cronologici, spesso mimetici, tematici o associativi, chiama in causa una figura ineludibile come quella dello storico dell’immagine e ricercatore amburghese Aby Warburg, con la sua regola del buon vicinato, messa in opera teoricamente nel suo Bilderatlas Mnémosyne/Atlante d’immagini Mnemosine e archivisticamente nella Biblioteca (KBW) del Warburg Institut di Londra. Talvolta, da scambi di contesto, da accostamenti di epoche diverse, come attuato dalla proposta espositiva di Michela Rizzo, scaturiscono associazioni e letture inedite.
Nanni Balestrini (Milano 1935, Roma 2019) scrittore, poeta, artista visivo, video artista, esponente della neo-avanguardia degli anni Sessanta, presente nei Novissimi e cofondatore del Gruppo 63 è un protagonista della letteratura, della scrittura visuale e dell’editoria del XX secolo, è l’autore, come scrive Andrea Cortellessa, di un romanzo controstorico, di un’epica dal basso. È il primo artista e scrittore a ricorrere al calcolatore IBM per elaborare i suoi Cronogrammi. Pratica la citazione tramite collage di frasi, titoli, parole, per uscire dalla gabbia tipografica, ottenendo l’esito di guardare un cut up, di segno politico o poetico, come si guarda un quadro. In mostra il grande inkjet su tela Bombe molotov, collage di titoli in caratteri tipografici differenti, in bianco e nero, 1972-2017 e un ulteriore inkjet su tela, collage di titoli in caratteri tipografici differenti dal titolo La violenza proletaria, in rosso e nero su bianco, 1975-2017. Sono lavori iconico- scritturali di denuncia e protesta, di lotta e militanza, realizzati/elaborati in un ampio arco temporale. Scrive, a questo proposito, Beniamino della Gala: Balestrini ha composto un glossario della lotta di classe, ha scritto e vissuto il passaggio consapevole dall’io individuale al noi, da un sentire proprio l’essere collettivo. Degli anni Ottanta, durante l’esilio politico in Francia, sono gli acquarelli di calligrafie corsive e liquide e i pastelli gestuali su carta, presentati in mostra. Nanni Balestrini, il poeta epico del Sessantotto italiano, come lo ricorda Franco Berardi Bifo è allegro, questa è la lezione che imparate se state ad ascoltarla... è allegro quando danza con la signorina Richmond è allegro quando è triste e dice: siamo come dei personaggi di Stendhal. Balestrini è l’allegria che non demorde. Ora con l’inkjet e la stampante su tela ingranditi di molte volte e sparati con nettezza su fondi verniciati e abbacinanti ci parla di distanze abissali.
León Ferrari (artista nato nel 1920 e morto nel 2013 a Buenos Aires) figlio dell’architetto, pittore e fotografo italiano Augusto Cesare Ferrari e di Susana Celia del Pardo, è un primario esponente del movimento Concettuale nello scenario dell’arte contemporanea latino-americana. Eclettico in direzione sperimentale, l’artista italo-argentino ritorna, con questa mostra, in quella Venezia che lo ha premiato con il Leone d’Oro nella Biennale 2007, che l’anno successivo, 2008, è invitato dalla Galleria Michela Rizzo, allora nella sede di Palazzo Palumbo Fossati, per la personale curata dalla compianta storica dell’arte argentina Irma Arestizabal e nel 2009 invitato al MoMA di New York con i suoi Tangled Alphabets. Dopo le iniziali intense esperienze scultoree - spesso articolate in filamenti metallici - di modellazione in ceramica, gesso e cemento del periodo 1954-1960, la sua ricerca approfondisce il potenziale espressivo, comunicativo, irriverente, della scrittura semantica e asemantica, calligrafica ed epistolare, della Mail-Art, in particolare nell’arco degli anni Sessanta e Settanta, aprendosi poi a esperienze di strutture installative, di azioni performative, di interazioni sonore tra scultura-pubblico-video. Ricorrenti nella sua opera sono la pratica della mimesi, della ripetizione, del ricorso a codici segnici segreti, a manuali tantrici, a riletture profane della Bibbia. Come esponente di una neo-avanguardia post-surrealista, di una segnaletica alchemica, Ferrari non ha mancato di interessare Arturo Schwarz, che lo ha pubblicato con i suoi primi disegni o scritture astratte nell’International Anthology of the Avant-Garde del 1962, Milano. I suoi accostamenti di elementi extrartistici, perfino escrementizi, sono spesso incongrui, divertenti e irriverenti al tempo stesso, usati in direzione polemica, denigratoria, provocatoria, nei confronti degli abusi del potere laico e cristiano sulle minoranze, sulla donna. Non si può tacere del suo esilio dal 1976 al 1991 a San Paolo del Brasile, dopo aver perso il figlio Ariel durante la repressiva dittatura argentina. L’artista stesso precisa che la sua attività ha un versante di analisi estetica del linguaggio e un versante di militanza e denuncia a difesa dei diritti umani, che culmina quando, nella retrospettiva del 2004 al centro culturale Recoleta di Buenos Aires, espone la grande scultura dipinta a olio, del 1965, intitolata La civiltà occidentale e cristiana in cui un Gesù Cristo di santeria è crocifisso su un cacciabombardiere FH107 nordamericano, di quelli impiegati nella guerra in Vietnam: durissima la condanna di blasfemia nei confronti dell’artista dell’allora cardinal Bergoglio, arcivescovo della capitale argentina. Il Quadro escrito del 1964, La Civilisación occidental y cristiana del 1965 e Nosotros no sabiamos del 1976, segnano momenti chiave della sua vita d’artista e di uomo libero. In mostra, di piccole e medie dimensioni, un inchiostro a penna blu su carta del 1979, una rilettura erotica indiana della Bibbia del 1987, sette cristi bianchi in croce su un fondo michelangiolesco, un Senza titolo di erotismo orientale, un collage visionario del 2004, una pittura su fotografia laser del 2005, dello stesso anno l’inchiostro su cartone Le pene dell’inferno, quindi una sequenza di eliografie in cui accosta ai letraset suoi disegni, creando convivenze asfittiche e labirintiche tra persone, animali, vegetazione, insediamenti abitativi, con rimandi alle derive psicogeografiche del Situazionismo debordiano. Come mi ricorda recentemente l’artista Irma Blank, presente nella mostra veneziana con lavori attuali, León Ferrari figurava con lei tra gli artisti invitati al Centre Pompidou, Parigi, nella rassegna Modernités Plurielles 1905-1970, nell’ottobre del 2013. L’attitudine sciamanica di León Ferrari conferisce carisma a una figura d’artista che sa utilizzare l’estetica per mettere anche in questione l’etica della cultura occidentale.
León Ferrari (Buenos Aires, 1920-2013) figlio dell’architetto, pittore e fotografo italiano Augusto Cesare Ferrari e di Susana Celia del Pardo, è un primario esponente del movimento Concettuale nello scenario dell’arte contemporanea latino-americana. León Ferrari scopre in Italia la sua vocazione artistica; dopo le iniziali intense esperienze scultoree - spesso articolate in filamenti metallici - di modellazione in ceramica, gesso e cemento del periodo 1954-1960, la sua ricerca approfondisce il potenziale espressivo, comunicativo, irriverente, della scrittura semantica e asemantica, calligrafica ed epistolare, della Mail-Art, in particolare nell’arco degli anni Sessanta e Settanta, aprendosi poi a esperienze di strutture installative, di azioni performative, di interazioni sonore tra scultura-pubblico-video. Ricorrenti nella sua opera sono la pratica della mimesi, della ripetizione, del ricorso a codici segnici segreti, a manuali tantrici, a riletture profane della Bibbia. Come esponente di una neo-avanguardia post-surrealista, di una segnaletica alchemica che attinge in modo indiscriminato dai vari movimenti artistici contemporanei - Situazionismo, Fluxus, New Realism, Pop Art - Ferrari non ha mancato di interessare Arturo Schwarz, che lo ha pubblicato con i suoi primi disegni o scritture astratte nell’ International Anthology of the Avant-Garde del 1962, Milano. I suoi accostamenti di elementi extrartistici, perfino escrementizi, sono spesso incongrui, divertenti e irriverenti al tempo stesso, usati in direzione polemica, denigratoria, provocatoria, nei confronti degli abusi del potere laico e cristiano sulle minoranze, sulla donna. L’opera di León Ferrari è stata fortemente influenzata dal vissuto personale dell’artista, in alcuni aspetti anche molto tragico; Ferrari vive le atrocità della dittatura militare e i paradossi di un paese dove spiritualità e politiche oppressive e scellerate convivono in un clima di accettazione o indifferenza. Dal 1976 al 1991 Ferrari si esilia a San Paolo del Brasile in seguito alla perdita del figlio Ariel durante la repressiva dittatura argentina. L’artista stesso precisa che la sua attività ha un ver- sante di analisi estetica del linguaggio e un versante di militanza e denuncia a difesa dei diritti umani, che culmina quando, nella retrospettiva del 2004 al centro culturale Recoleta di Buenos Aires, espone la grande scultura dipinta a olio, del 1965, intitolata La civiltà occidentale e cristiana in cui un Gesù Cristo è crocifisso su un cacciabombardiere FH107 nordamericano, di quelli impiegati nella guerra in Vietnam: durissima la condanna di blasfemia nei confronti dell’artista dell’allora cardinal Bergoglio, arcivescovo della capitale argentina. Il lavoro di Ferrari è spesso stato definito irriverente e provocatorio, attirando l’attenzione e sollevando sdegno e polemiche; pensiamo anche all’erotismo a volte quasi blasfemo inserito in contesti strettamente religiosi. Il Quadro escrito del 1964, La Civilisación occidental y cristiana del 1965 e Nosotros no sabiamos del 1976, segnano i momenti chiave della sua vita d’artista e di uomo libero. Dal 1976 fino al 1991 però, l’irriverenza di Ferrari si fa pagare, costringendolo a lasciare il proprio paese per ben 15 anni. Dopo una pausa dall’arte durata dalla fine degli anni 60 in poi, riprende a creare manifesti che non solo coinvolgono la patria Argentina, ma ormai fanno eco in tutto il mondo. L’attitudine sciamanica di León Ferrari conferisce carisma a una figura d’artista che sa utilizzare l’estetica per mettere anche in questione l’etica della cultura occidentale.Il suo lavoro, nell’eterogenia di mezzi, è una risposta urgente e necessaria all’indifferenza e alla negazione; un urlo di protesta che si solleva coraggiosamente, spesso con un certo humor, anche verso ciò che viene ritenuto intoccabile. Una serie di importanti mostre personali sono in programmazione nel prossimo futuro: al Bellas Artes Museum a Buenos Aires, al Museo Reίna Sofìa di Madrid, al Van Abbemuseum di Eindhoven e al Musée National d’Art Moderne Centre Pompidou di Parigi.
La Galleria Michela Rizzo collabora con León Ferrari (e in seguito alla sua scomparsa nel 2013 con l’Estate) dal 2008, anno in cui organizza una sua mostra personale a Palazzo Palumbo Fossati, a cura di Irma Arestizabal.
https://leonferrari.com.ar/
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